22/06/10

Il Fasciocomunista, per capire un'altra storia degli anni '60-'70.

Altro post  qui  Per capire qualcosa e forse anche di più, degli anni '60 fino a
 metà '70, che non sia quella che si vuole accreditare dai "Quaderni rossi", e tutti i tentativi di escludere i buoni e inutili hippies, targandoli da sinistra come improbabili figure di una società grassa, che produce gente che vive alle spalle degli altri, che non si impegna (nella rivoluzione dei compagni del Pci), consiglio a tutti la lettura di Il Fasciocomunista, recensito da  wumingfoundation

Intanto chi è Pennacchi? Potrei dire che è uno che ha fatto un certo percorso
 simile a me e a tanti di coloro nati negli anni '50, poi divenuti attivi e protagonisti o solo vittime durante gli anni '70 e '80. Certamente, il percorso di Pennnacchi (e anche il mio, anzi nostro), non è simile a quello di Giuliano Ferrara, Michele Santoro e Gad Lerner (solo per fare tre nomi).

L'AUTORE - Antonio Pennacchi è nato a Latina nel 1950. Operaio per quasi trent’anni di notte alla ex Fulgorcavi di Borgo Piave, ha passato gran parte della sua vita di giorno a litigare e venire espulso da partiti e sindacati - ultima la Cgil nel 1983 - dopodiché s’è rimesso a studiare e scrivere. Nel 1994 - tra un turno di notte e l’altro - la laurea in Lettere con una tesi su Benedetto Croce e la pubblicazione di Mammut, che in 8 anni aveva collezionato 55 rifiuti da 33 diversi editori (ad alcuni lo rispediva cambiando titolo). Seguiranno Palude e Una nuvola rossa e, con Vallecchi, L’autobus di Stalin e altri scritti. Nel 2003 per Mondadori il romanzo Il fascio comunista da cui è tratto - ma secondo lui molto male - il film Mio fratello è figlio unico e, nel 2006, i racconti Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni. Ha due figli e una nipote. [nota: secondo me il film è quanto di più banale e peggio si poteva trarre dal libro]

Praticamente è anche un pezzo di storia di quelli come Michele Santoro, parte di Servire il popolo, come il protagonista del libro. Solo che Santoro e tanti altri ex LC, SiP, PO, MM, eccetera, sono ai loro posti di potere e comando, pagati centinaia di migliaia di euro all'anno, nelle sedi dei giornali e televisioni, mentre il nostro protagonosta farà un altro percorso, molto vicino a
 quello mio e di altri come me, che oggi quando vedono Lerner e Santoro o Linda Lanzillotta, provano un senso di magone, simile a quando ti dicevano da piccolo che le lucciole, messe in un bicchiere capovolto, alla mattina cagavano monetine da 5 lire, e a volte, quando andavi a controllare, trovavi solo due o tre povere lucciole, mezze morte, che attendevano di essere liberate. Non so se il mondo girerà e come girerà, ormai non mi interessa nemmeno più, ma se un domani dovessi vedere che qualcuno comincia a prendere a uova marce i personaggi nominati sopra, e tanti altri, allora miei presunti compagni di ventura, proverei un certo conforto. Non per spirito di vendetta ma solo perché qualcuno è meno ingenuo di me e quelli come me, solo per quello.

Un'altra cosetta: il film ispirato al Fasciocomunista, Mio fratello è figlio unico, per me è una cagata, detto con tutto il rispetto per tutti gli attori, produttori e regista, e tutto il popolo della sinistra allo spumante, che affolla i teatrini rai3 e radio della cool parlaconme Serena Dandini, Fabio Fazio, il furbetto scaltretto e ci metto anche Bertolino, che con la sua aria da funzionario di banca della porta accanto, è uguale uguale a tutti gli altri. Un non genio. E capisco perché questa gente che vorrebbero rappresentare, li ripaga solo con una asfittica minoranza, rispettabile del 28 dei voti,(quelli di Doppia Penetrazione li conosco, a parte qualche cavallo scaltro, gli altri sono pensionati al bar e alla bocciofila).  Ma sanno bene che c'è almeno un 40% che li manda a cagare sonoramente, oltre agli indifferenti, cui mi iscrivo, pur soffrendo. Ecco, credo che fino a che la gente come me se ne sta fuori, avendo partecipato alla festa dei '70, credo che non ci sia molto spazio per gli ex amici della oggi comunistiana aggregazione ex Pci-ex Dc. Ma forse mi sbaglio, a pensarla come Grillo, che questa gente è ormai out. Forse. Comunque noi non siamo gli Augusto Minzolini, che nel '75 vengono buttati fuori dal Pci dal caposezione Giulio Scarpati, si proprio il grande attore, aiutato dal dirigente della Fgci, Walter Veltroni, con i suoi calzoncini con la riga nel mezzo e la valigetta 24ore, per poi andare a dirigere il TG1. No, noi no, noi no. Non siamo quelli là. A noi non ci possono dare del fascista, nè del berlusconiano, ma siamo presenti, vediamo e osserviamo, non contiamo niente, ma siamo almeno assai più di quegli ex amici, che ora si abbuffano. E non siamo tra gli incazzati, cui parla nel suo vano libro l'ex compagno di LC Michele Ainis, che non contano un cazzo (sempre con rispetto); siamo medici, avvocati, architetti, impiegati e anche qualche ex insegnante e ex sindacalista. Gente che non è incazzata ma sa, conosce e vede, e aspetta.

Antonio Pennacchi, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Mondadori 2002, 340 pagine, 17 euro.
Questo libro mi è stato regalato per il compleanno e mi si è praticamente bruciato
 in mano tanta è stata la foga nel leggerlo, tra lunghi e sguaiati attacchi di ridarola. Da due mesi non faccio che consigliarlo, era da Romanzo criminale di De Cataldo che non mettevo in moto un simile ambaradàn.
Il fasciocomunista è il romanzo di formazione di Benassi, che è poi l'alter ego di Pennacchi. Pennacchi me l'hanno descritto come "la coscienza critica di Latina" (compito che immagino impegnativo). Per le sue traversie rimando alla nota biografica, secondo risvolto di copertina. Tra le varie cose, scrive su "Limes" (i suoi articoli sono raccolti qui:
Accio Benassi è un giovane missino nella provincia laziale degli anni Sessanta, uscito dal seminario dopo aver perso la vocazione, diviso tra una famiglia plebea e bigotta, un'accidentata autoeducazione sessuale, la pratica dell'autostop (al tempo stesso liberatoria e frustrante) e un organico di partito che è una lunga sfilza di mentecatti, massimalisti velleitari e mezze calzette dimenticate dalla Storia e dallo spirito del Duce. Un solo camerata, tale Bompressi, è descritto con tratti di folgorante umanità. Con l'avvicinarsi del '68, Accio inizia a "scantonare": verrà espulso dal partito per aver manifestato contro la guerra in Vietnam, e si sposterà all'estrema sinistra, in "Servire il popolo", ambiente popolato di... mentecatti, massimalisti velleitari etc. etc.  La lingua di Pennacchi è efficacissima, piena di prestiti dialettali e stratagemmi reiterati fino a diventare tormentoni, come quel "Dice:" a cui seguono domanda retorica e risposta auto-assolutoria. L'effetto è indicibile. Esilaranti le descrizioni delle scazzottate, con l'immancabile incipit: "Gliene misi due in faccia". Sapete come la penso: se riesci a rendere viva una rissa o una scazzottata, allora sei un bravo scrittore.
Il fasciocomunista contiene alcune perle, come la storia della partecipazione dei giovani fascisti alle prime occupazioni del '68 romano. Stando a Benassi/ Pennacchi, non solo i militanti di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano Delle Chiaie, presero parte agli scontri di Valle Giulia, ma addirittura li cominciarono: furono i primi a controcaricare la polizia. In seguito, il celebre intervento squadristico alla Sapienza voluto da Almirante e Michelini (che stavano facendo il maquillage al MSI per trasformarlo in "partito d'ordine" anti-estremisti) impedì la "fraternizzazione" e costrinse i giovani di destra a schierarsi "di qua" o "di là". Benassi si schiera "di là", coi rossi. E' lo stesso giorno in cui Oreste Scalzone rimase ferito alla spina dorsale. Nel suo libro autobiografico Biennio rosso (a cura di Ugo Maria Tassinari, edizioni SugarCo, 1988), lo stesso Scalzone è molto evasivo sulla presenza dei giovani di destra a Valle Giulia: solitamente tanto logorroico da provocare edemi cerebrali in chi lo ascolta, in quel passaggio se la cava in due righe, dicendo più o meno: "Boh, può darsi, c'era un tale casino..." Altro passaggio bellissimo è una lite con Pasolini sulla questione della "degenerazione antropologica" dei giovani italiani. (WM1)
La cosa che più mi ha colpito, fin dall'inizio, in questo romanzo, è la capacità
dell'autore di mantenere un ritmo elevatissimo, incalzante, che incolla il lettore alla pagina, senza ricorrere alla scrittura secca, mitragliata, telegrafica, che abbiamo imparato ad amare sulle pagine di Ellroy.
Ciò che risulta torrenziale, ne Il fasciocomunista, è l'affabulazione, la miriade di aneddoti, di personaggi, di situazioni assurde e strampalate. Una lingua che imita il parlato, anzi, il "raccontato", proprio del cantastorie, che spesso dialoga col suo pubblico, altre volte si fa prendere dall'emozione perché , in fondo, è della sua stessa vita che si sta parlando.
Un anarchico di costituzione e di DNA alle prese con le grandi istituzioni totali del recente passato: la famiglia - dominata da una madre anaffettiva e del tutto fuori di testa; la Chiesa - cioè il seminario e la crisi di vocazione; il neofascismo pecoreccio della provincia di Latina, e quello più violento ed eversivo della capitale; quindi i "preti rossi" di Servire il Popolo; la Droga - ma solo di sfuggita, come passaggio dal farsi le pippe al farsi le pere; la Fabbrica.
Un vero pugno in faccia a tante scritture autobiografiche che non raccontano nulla, non trasmettono alcuna emozione, non coinvolgono nessuno.
[Aggiungerei anche, che tali autori, sono poi immancabili nei salotti televisivi e radio degli ex comunisti, più gli attuali sindacalisti allo spumante, quelli citati sopra, e altri che nasceranno, con il tempo]