17/06/10

Muzak, Ciao2001 Giaime Pintor e io.

Altro post  qui  Sono sempre stato scettico verso ogni forma di comunicazione che
 non mi apparisse da subito chiara e improntata a pochi ma semplici criteri: partire dal basso, rivolgersi ad un pubblico popolare e trattare gli argomenti in modo tecnico, ma senza perdersi in astrusi sofismi che fanno tanto cool. Così, quando iniziai da ragazzino a leggere fumetti e anche pubblicazioni musicali, iniziai con i topolino, per passare rapidamente ad Alan Ford, di cui conservo il primo numero comprato in un chiosco, nella mia città, Viareggio, dove mi recai assieme ad una piccola combriccola di ragazzetti squattrinati come me. E quando scoprii che oltre ai fumetti, c'erano anche dei giornali che parlavano di musica, iniziai a leggerne alcuni, che per lo più non mi interessavano, perché o parlavano di Gino Paoli, Mina, Nico Fidenco, o parlavano di nomi che non avevo mai sentito e per i quali non provavo alcun particolare interesse, almeno a quel momento. Fino a che non mi capitò sotto gli occhi quella rivista dal nome che rieccheggiava il titolo di un film che avevo visto e rivisto, nella calura estiva del cinema Politeama, che d'estate, consentiva ai ragazzetti come me, di farsi scorpacciate di film di qualche anno prima, pagando quasi un terzo per il biglietto, o facendo una sorta di abbonamento per dieci film a prezzi stracciati. La rivista, un settimanale di piccolo formato, spillata sui bordi, venduta a poco prezzo, si chiamava Ciao2001, e appena cominciai a sfogliarla, con gli occhi e la mente di un ragazzino di 14 anni, figlio di un operaio e di madre casalinga, abitante un piccolo appartamento vicino l'Ospedale, in affitto, finalmente ebbi la sensazione che stavo leggendo
 qualcosa che oltre che interessarmi, era per me abbastanza comprensibile, per le mie conoscenze scolastiche da seconda media.
Quando nel 1973, ormai già entrato in LC, pronto ad urlare contro i coetanei della FGCI, i fighetti alla Veltroni, indottrinati, che si riunivano nelle sedi del partito e poi facevano le manifeszioni di piazza, muovendo  con le bandiere e striscioni dalla Camera del Lavoro (dove ancora oggi prestano consulenza quegli ex della Fgci, da tempo  avvocati di successo, che parcheggiano le loro auto lussuose negli spazi riservati a pagamento), uscì Muzak, credevo fosse un grande evento e corsi ad acquistarlo con entusiasmo. Ma dopo averlo sfogliato, la delusione e la rabbia mi assalirono: infarcito di citazioni colte, di discorsi dall'alto, sempre in una prospettiva altra e sinistrorsa, ma sempre da fighetti della contro cultura, parola allora di gran moda. Mi suonava tutto a vuoto, e non volli pensare di essere io a non essere sufficientemente "preparato" per capire quanto si scriveva.  Di tutta quella gente che scriveva allora, mi rimase impresso solo un nome: Marco Fumagalli, purtroppo morto di leucemia fulminante a soli 20 anni e probabilmente un genio. Quello che trovavo su Muzak era uno spazio allargato a dismisura sulle stesse cose che leggevo sul ciao2001, ma molto più elaborate e vezzeggiate, veri e propri esercizi di stile, ben diversi da quelli di Enzo Caffarelli, sempre rigoroso e mai prolisso, uno Sciascia della critica e recensione musicale, mai superato da nessuno, a quel tempo. Quanto agli "ampliamenti" sociali di Muzak, devo dire che mi facevano cag..re letteralmente, quasi se non più di quellli che leggevo su Linus, Saverio Tutino, Fulvia e Michele Serra, tutti geni espressi poi fino a noi, in radio, giornali e Tv (Serra è autore del programma di fazio e forse è anche per questo che a me Che tempo che fa, fa ca..re, oltre al conduttore, un esperto di lavaggio del cervello, furbetto e scaltretto).
 All'epoca ero solo uno studentello ai primi anni di Ragioneria, e il dubbio mi poteva anche prendere, ma devo dire che, a distanza di tempo, alla metà degli '80, quando ebbi modo di ritornare su certi momenti e temi che mi avevano impegnato in anni precedenti, dall'"alto" dei miei studi in medicina, e in seguito in Scienze politiche, che avevo ripreso dopo una "pausa" di oltre 5 anni, per le vicende in LC di cui  ero parte in quel di Pisa e non solo, i motivi quasi inconsci di quella delusione e rifiuto, stavano tutti davanti a me, questa volta ben chiari e culturalmennte evidenti.
Intanto, nonostante la mia militanza in LC, non avevo mai saputo che a farne parte ci fossero anche gente come Gad Lerner, Gianni Riotta e Giaime Pintor, e ancora oggi, non ho mai capito se a parte Lerner, molti di quelli che si vantano di essere stati di LC, dall'alto delle loro scrivanie dorate nelle sedi dei migliori giornali e Tv, erano solo dei sostenitori, termine di nessun valore pratico, o semplicemente dei fighetti di buona famiglia borghese, che giocavano ai rivoluzionari, o a vantarsi di tali qualifiche, pur non essendo nemmeno una volta scesi in piazza con quelli come me, sempre in viaggio su un vagone ferroviario pieno di lerciume, per raggiungere una delle tante piazze dove manifestare. Da tempo, assieme ad alcuni amici di PO e altri ameni reduci dei gruppi definiti extra parlamentari, la risposta ce la siamo data: erano certamente dei borghesi di alto livello, sempre pronti a dare il meglio nel dirigere le operazioni, scrivere sui giornalini e manifesti dell'epoca, ma mai offrirsi alle urla e calci delle piazze. Bene, di gente come Gianni Riotta, Gaime Pintor, Gad Lerner e tanti altri, (la lista sarebbe tristemente lunga), credo che quelli come noi, ne avrebbero dovuto fare a meno. Eravamo molto giovani, e abbiamo commesso ingenuità imperdonabili, per quanto comprensibili (a Rimini, nel '76, al congresso di LC, l'ultimo atto, avevo 20 anni, per dire, e ci arrivai provenendo da Trento, dove avevo solidarizzato con un gruppo di studenti di sociologia e mi ero fatto una ragazza, F. che anche oggi ricordo, tanto diversa dalle fanciulle che avevo conosciute prima, e assai precoce ed evoluta, nonoistante i suoi 19 anni).
Per dirla con le parole di Ernani, un vecchio militante, da tempo ritrovato, in occasione di un congresso sui disturbi dello sviluppo: -ci siamo fatti fregare nel movimento dai fighetti più grandi, dai nostri ideali utopici e siamo stati messi in mezzo da quelli del Pci, che ci hannno  trattato come carne da macello per realizzare il Compromesso storico del boia Berlinguer- parole sue, che suonano come una verità  ormai acquisita da tutti noi ex movimentisti "buoni", che con sudore e pance vuote, ci siamo rimessi a studiare e lavorare, per guadagnarci una professione e un piccolo posto in società, tra colleghi  tracotanti, iscritti alle massonerie e ai partiti che contano (quasi tutti, compreso i radicali). Ancora oggi, li vediamo arrivare a bordo delle Smart e delle Lexus, brillanti, prendere posto nei loro uffici, studi, posti di potere, sia alla Asl, che nei consigli comunali e nelle aziende pubbliche, con stipendi da favola, gettoni di presenze, emolumenti ordinari, straordinari e premi di tutti i tipi. Erano quelli che  a quei tempi, erano conn noi in mezzo alla strada, o sul treno, a parlare di uguaglianza, di lavoro per tutti, di libertà dal basso, eccetera. Erano quelli, e sono quelli oggi, che quando ci incontrano, si girano dall'altra parte, sapendo che noi arriviamo con una vespa del 1977, o con una Punto o Uno di 15 anni, magari a metano, che non abbiamo tessere, né iscrizioni alla massoneria da vantare, e che quindi chiunque può scavalcare come si fa con un cadavere sdraiato a terra, pur avendo un percorso professionale di tutto rispetto e del tutto sovrapponibile al loro.
Giaime Pintor, che rimanda al nome del nonno, morto come eroe partigiano nel 1943, era un "simpatizzante" di LC, e anche il primo direttore di Muzak, assieme a tutti quelli del giro che poi hanno portato a Porci con le ali, un libricino  divenuto un grande best seller, che il sottoscritto non ha mai letto e sul quale non ha che letto recensioni  e interviste agli autori, peraltro giudicandole di scarso o punto interesse.
Non a caso, nella redazione c'era anche Lidia Ravera, altra coautrice del librettino citato, e altra persona che difende il '68, e respinge stolidamente l'accusa mossa da Veneziani e altri, che il '68 è stato (in Italia e Francia) un movimento elitario, fatto da persone della buona borghesia, che poi sono finiti (come è sotto gli occhi di tutti) nelle redazioni delle più grandi testate e Tv.
E nella redazione troviamo anche Nancy Ruspoli, la seconda moglie di Dado Ruspoli, uno degli ispiratori dei personaggi infilati nella Dolce Vita dal grande Bugiardo e sognatore, Federico Fellini.
Ma ritornando a Giaime Pintor, quello di Muzak e figlio di Giulio Pintor, fondatore  de Il Manifesto, da sempre officina militante per formare giornalisti di  area, vedi per tutti Corradino Mineo da Partinico, (paese dove già dai primi del '900 si controllava il traffico della droga in America, che dopo la seconda guerra mondiale, la "famiglia di Partinico", che era nominata "West Partinico", diventò il principale fornitore di eroina, controllando Detroit, San Diego, Miami, Tucson, Las Vegas e altre città. Oggi, Partinico è come tutti sanno, controllata da 5 famiglie mafiose, ed è assurta a "Triangolo d'oro della mariujana", prodotta nelle sue serre tra gli uliveti, coltivazioni ad alta intensità, e mai toccate dalle mostruose forze dell'Anti mafia).
Per quelli che vogliono sapere chi è Gino Castaldo, dirò che non ho mai letto nulla di lui, ma so che ogni tanto scrive libri e regolarmente scrive sul Corrierone di cui  è inviato al Festival di Sanremo. Insomma, un po' di giustizia al mondo c'è.

Per quelli che hanno voglia di leggere un po' su Giaime Pintor, da Mirella Serri

Come scriveva Franco Fortini , nel 1978 non era trascorso il mezzo secolo dalla morte di Giaime Pintor, scrittore saltato a 24 anni su una mina tedesca ai primi di dicembre del ’43. E gli
 interrogativi sul personaggio di Giaime posti dal famoso critico letterario dopo aver scritto il Doppio diario, all’epoca fresco di stampa, apparivano intempestivi. Il guru delle generazioni ??? sessantottesche, in quel diario Giaime aveva infatti rintracciato tutti gli estremi per quell’ “immaginetta devota” del germanista – caduto mentre cercava di unirsi a gruppi di partigiani – che una storiografia compiacente gli aveva cucito addosso. Un giovane che era stato trasformato in un esempio di antifascismo coltivato fin da ragazzo. Al contrario Fortini, in Giaime individuava non solo un simpatizzante del regime, sedotto pure da alcuni miti del nazismo, ma anche il rappresentante di una classe alto borghese che sfruttava i privilegi di super raccomandato. Una classe che in larga parte aveva prima coltivato una comunanza con la dittatura e poi era traslocata, senza farsi nemmeno l’esame di coscienza, tra le file dei comunisti. Oggi, comunque, i cinquant’anni da quella morte sono stati abbondantemente superati. Eppure non si direbbe . mentre esce il mio nuovo libro Il breve viaggio. Giaime Pintor nella Weimar nazista (Marsilio editori), che ripercorre la figura dello scrittore e la sua partecipazione a un congresso dell’ottobre 1942 degli scrittori europei organizzato dal ministero nazista della Propaganda, gli interrogativi su Giaime fanno ancora scattare appassionate reazioni. Nessuno intende ovviamente negare il gesto eroico di Pintor. La questione è un’altra. Per tutto il dopoguerra Giaime è stato il vessillo dell’antifascismo permanente, dello stato di allerta continuo degli intellettuali. Proprio l’ultima lettera al fratello Luigi, in cui si esortano glia artisti a “prender posto in una organizzazione di combattimento”, è stata la bandiera per il rappel à l’ordre anche negli anni successivi. Il nome della perdurante necessità della vigilanza, generazioni di intellettuali sono state chiamate a raccolta per dare il proprio sostegno all’invasione dell’Ungheria o all’espulsione dei compagni non in linea con le scelte del partito comunista. Per far questo la sinistra comunista ha avuto il bisogno di cambiare i connotati ad alcuni personaggi chiave, di farne eroi. Da qui la mitizzazione di Giaime, trascinato, dopo la sua scomparsa, nella vulgata del “lungo viaggio”, pur avendo tutte le possibilità, familiari e culturali, di avere un forte distacco ne confronti del regime, Pintor non ha per lunghi anni interesse nei confronti dell’antifascismo militante. Non apprezza Benedetto Croce, nume tutelare dell’antifascismo che ha modo di frequentare, non condivide le scelte politiche degli amici schierati, come Lucio Lombardo Radice o Mario Alicata o leone Ginzburg. “Astenersi fin dalla nascita è poco più che il suicidio, così noi tutti ci trovammo mescolati, chi più chi meno nella vita contemporanea e disposti a coglierne i frutti”, scrive. Di frutti Pintor ne colse parecchi e si trovò a soli vent’anni a essere uno degli intellettuali più noti e apprezzati: non traduce solo le poesie di Rilke, anche il saggio sulla Dittatura di Carl Schmitt; uno dei suoi autori è Ernst von Salomon, l’assassino di Rathenau ed esponente dell’estrema destra tedesca; ancora nell’agosto ’43 propose all’Einaudi un saggio sugli scrittori della Francia di Vichy. Giaime poi sente profondamente il fascino della guerra: raccomandato suo malgrado, non parte per il fronte ma viene destinato in un posto di tutto comodo alla commissione d’armistizio con la Francia, a Torino. Si addolora per la sua esclusione e, ancora il 6 maggio del ’43, guarda con partecipazione allo schieramento dell’Asse. “Se fossi tornato ora in Italia dopo sei mesi di guerra in Russia potrei ora disporre di altre forze”, si rammarica. Vede insomma la guerra come un treno da non perdere per un’esperienza umana ma anche per un riposizionamento sociale, polito e culturale alla fine del conflitto. L’opportunismo non c’entra, bensì è profonda la sintonia col fascismo e lo spirito dell’epoca. Per volere essere sempre al posto giusto nel momento giusto arriva a partecipare, nell’ottobre del ’42 – quando le sorti del fascismo e della guerra erano ormai segnate – al terzo convegno degli scrittori europei a Weimar, organizzato dal ministero della Propaganda dl Reich. Un viaggio che nel dopoguerra varrà addirittura spacciato come “un’occasione di antifascismo e di presa di coscienza”. Non si poteva accettare che un futuro eroe andasse con entusiasmo a un’assise voluta da Goebbels, organizzata direttamente dalle autorità tedesche. Un raduno dove si poteva cogliere l’occasione, per esempio, di discutere della questione degli scrittori ebrei. Gli italiani, Pintor compreso, non dissero a questo proposito una parola, cosa che invece fecero altri scrittori europei. Altra invenzione mitologica è che il resoconto di Giaime sul convegno di Weimar non venne pubblicato dalla rivista Primato perché giudicato critico nei confronti del meeting. L’articolo, al contrario, andava benissimo: trattava affettuosamente, per esempio, il generale delle Sa, poeta e alfiere della politica razziale Gerhard Schumann o il potentissimo romanziere Rothe, definito un “uomo intelligente e preciso, molto idoneo al suo compito”. Un personaggio che dall’ambasciatore italiano Alfieri viene descritto come il peggiore dei partecipanti: dispotico, intrigante, pronto a tutto. Lo scritto di Giaime aveva tutte le carte in regola per essere pubblicato. Non uscì perché sulla stampa italiana, nonostante numerosi fossero i giornalisti presenti a Weimar, intervenne il diktat delle autorità italiane. Fu vietato qualsiasi resoconto perché il raduno era stato molto al di sotto delle aspettative per la cattiva conduzione dei tedeschi, sfiduciati per via dell’andamento della guerra. Così non fu pubblicato niente, assolutamente niente. Capire se i viaggi durate il fascismo siano stati brevi o lunghi non è questione di poco conto. Generazioni e generazioni, fino agli anni Settanta e anche quasi fino ai nostri giorni, hanno vissuto sotto il richiamo dell’antifascismo permanente. Un ordine di scuderia che non ammetteva repliche e che sarebbe stato molto meno efficace se i personaggi-guida, come Pintor, fossero stati sfaccettati, ambigui, pieni di sfumature. Contro l’immagine di Pintor “falso mito” è preferibile quella di un eroe più umano. Mirella Serri
Qui invece la notizia della suo morte, data dal grande Gianni  Riotta, che all'epoca incontravo a NY, mentre ci recavamo al campetto del centro sportivo che frequentavamo. Lui, sempre con il suo aplomb impeccabile, sportivo, dirigeva tutto il traffico della redazione del Corrierone, dal suo ufficio di NY. Quando si dice classe dominante...

E' morto Giaime Pintor: scrisse "Porci con le ali" E' morto a Trieste Giaime Pintor. Aveva 48 anni e aveva animato, negli anni Settanta, la cultura giovanile, con la direzione del periodico "Muzak" e con il romanzo "Porci con le ali", best seller mondiale scritto insieme con Lidia Ravera, Marco Lombardo Radice e Annalisa Usai. Figlio del fondatore del "manifesto" Luigi, nipote di Giaime Pintor, scrittore ed eroe della Resistenza, Giaime Pintor aveva inventato nel 1974 la formula di "Muzak", periodico irriverente e ben scritto, che anticipava il gusto spettacolare e politico di una generazione. Prima dei grandi media, "Muzak" aveva compreso come musica, cinema, televisione e comunicazione fossero il vero crocevia politico dei giovani. Edito con la scrittrice Lidia Ravera e il critico Gino Castaldo, "Muzak" aveva le potenzialita' per diventare un "Rolling Stone" italiano, ma il successo imprevisto di "Porci con le ali" da una parte e un editore miope dall'altra fecero chiudere precocemente la rivista. Per Giaime Pintor, come per tanti coetanei, lo scarto tra i propri ideali e la realta' del giorno per giorno si rivela presto eccessivo e frustrante. Capace di scrivere con la passione del padre e la lucidita' dello zio, Giaime Pintor era pero' anche un vero "direttore", generoso del suo tempo con collaboratori e redattori, non importa se sconosciuti. Spesso avvalendosi delle segnalazioni della scrittrice Fernanda Pivano, Pintor diede cosi' voce a una sinistra allegra e libertaria, di cultura piu' "americana" che "europea". Conosciute negli anni del riflusso la solitudine della tossicodipendenza e della depressione, Giaime Pintor le aveva combattute con dignita' e senza clamori, tornando a curare un "Dossier sulla Musica Sacra" per l'editore Giunti e a dedicarsi ai giovani ex tossicodipendenti di una cooperativa triestina. La morte ha stroncato nel sonno uno dei talenti piu' sinceri di una generazione ribelle.
Riotta Gianni 11 novembre 1997 - Corriere della Sera

Giaime Pintor (Roma, 1950 - Trieste, 10 novembre 1997) è stato uno dei giornalisti musicali italiani più conosciuti.
Figlio di Luigi Pintor, uno dei fondatori del quotidiano "Il manifesto" e nipote di Giaime Pintor, dopo aver studiato al liceo "Mamiani" di Roma, negli anni '70 fu tra i fondatori (e primo direttore) della rivista "Muzak", mensile che si occupava di pop, rock, folk, jazz e cultura giovanile, alla quale collaborarono giornalisti come Riccardo Bertoncelli e Lidia Ravera.
Ha pubblicato saggi sulla musica pop e sui cantautori in collaborazione con Gino Castaldo, Simone Dessì e Gianni Borgna (es.: "C'era una volta una gatta", "La chitarra e il Potere", "Cercando un altro Egitto", "Il futuro dell'automobile, dell'anidride solforosa e di altre cose", tutti pubblicati dalla Savelli editrice).
Militante dei Circoli Ottobre, gruppo vicino a Lotta Continua, nelle pubblicazioni musicali sostenne la tesi del collegamento tra la musica pop e le esigenze culturali del proletariato giovanile.
Morì nel 1997, per un incidente farmacologico in una situazione di malattia cronica (diabete), a Trieste, dove viveva da anni curando alcuni problemi di salute (appoggiato alla struttura ospedaliera di Barcola): continuava a pagare le conseguenze di protratte dipendenze giovanili dalle sostanze alcooliche.
Estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Giaime_Pintor_(giornalista)

da stampamusicale.altervista.org/Muzak/

Il primo numero esce nell’ottobre del 1973 al costo di 400 lire / 68 pagine

Sottotitolo: “Mensile di musica Progressiva-Rockfolkjazz”
Autoritratto della muzak generation
muzak. Con questa parola gli inglesi indicano la musicaccia. Quella di oriettaberti. O engelberthumperdick. O davidcassidy. Tre, quattro, cinque, forse dieci (chi ancora si ricorda di Elvis?) anni fa ognuno ha avuto modo di trovare nella musica la sua soddisfazione di un momento. Forse la majurana. Foprse un rumcocacola di troppo. un partner da amare. e certi colpi di batteria, una chitarra solista. un suono elettronico che entra in circolo, o la politica sublimata nel sound semplificato e vagamente guthriano di bobdylan o di joanbaez prima maniera. Il bisogno di razionalità dei pinkfloyd. o quello di pazzia (elegiamola...all'infinito) di frankzappa. o ancora le evoluzioni sonoro-canore di jimi l'indimenticabile. E perché no ? Amche i beatles. Anche quelli discguistosamente muzak di michelle. E i rolling: punto fermo di tante orecchie tristi e sorde.
Ecco, muzak non c'entra niente. È autoironia. E buttatela via l'autoironia di questi tempi. muzak è rimarcare che tutto ciò che è musica (anche la muzak, appunto) è sempre e comunque una cosa che riguarda delle persone. Veicolo dell'individualità ritrovata e della socialità riscoperta. muzak è musicaccia. Ebbene: la musicaccia è quello che ci interessa. Se non altro per renderla musica a tutti gli effetti. un'utopia? E perché no ?

Il collettivo redazionale
Collettivo redazionale: Giaime Pintor, Antonino Antonucci Ferrara, Filiberto Lipparelli, Enzo Caffarelli, Marco Ferranti, Manuel Insolera, Piero Togni, Peppo Delconte, Giacomo Pellicciotti, etc etc...


Direttore: Giaime Pintor
Sommario:
Pag. 6 Notizie
Pag. 9 Rolling Stones discografia completa. Di Ronnie Thorpe
Pag. 13 Banco, Osanna, PFM: L’Inghilterra è lontana. Di F. Brunetti
Pag. 16 Muzak consiglia....i più venduti del mese
Pag. 17 Alan Sorrenti: genio o mistificatore ? Di M. Insolera
Pag. 20 Jazz D’estate. Di G. Pellicciotti
Pag. 21 Terry Riley. Il suono in paradiso. Di M. Insolera
Pag. 24 Entusiasmo, feeling, ritmo (chiacchierando con John Hisemann). Di M. Ferranti
Pag. 28 Perché il pubblico italiano li ha scelti. Di E. Caffarelli
Pag. 32 I fiori del male: il rock della decadenza. Di M. Insolera
Pag. 38 roger Dean: il pittore del rock. Di E. Caffarelli
Pag. 42 Jethro Tull suite per flauto. Di M. Ferranti
Pag. 48 Recensioni
Pag 60 Strumenti e tecnica ... Di N. Civitenga


Riccardo Bertoncelli entrerà in redazione con il numero 6 dell’aprile 1974 e uscirà definitivamente insieme a tutta la redazione milanese (Antonino Antonucci Ferrara, Roberto Masotti, Marco Fumagalli, Peppo Delconte e Giacomo Pellicciotti) successivamente al numero 8 del giugno 1974, per andare a creare Gong.
Mentre sul numero 9 (luglio’74) fanno una sporadica comparizione Paolo Carù e Aldo Pedron futuri Mucchio Selvaggio e L’Ultimo Buscadero ad esaminare la “discografia completa dei Jefferson Airplane” e “gli Offshoot, ovvero le derivazioni e le fonti”.


L’ultimo numero della prima serie (il numero 13) uscì il novembre del 1974


Dopo alcuni mesi di interruzione, nell’aprile del 1975, uscì il numero 1 della seconda serie. Lire 500 / pag. 66
Sottotitolo: “Per usare la musica, la cultura e altre cose”


Collettivo redazionale: Giaime Pintor, Piero Togni, Danilo Moroni, Carlo Rocco, Lydia Tarantini, Maurizio Baiata, Gino Castaldo, Chicco Ricci, Sandro Portelli, Giovanni Lombardo-Radice, Daniel Caimi, ...


Direttore: Giaime Pintor
Vice direttore: Lidia Ravera
Collaboratori: Giorgio Conti (da Londra), David Grieco, Agnese de Donato, Roberto Laneri (dagli Usa), Fernanda Pivano, Mauro Radice, Sergio Saviane, Nancy Ruspoli, Mario Schiano, ...
Sommario:
Pag. 6 E noi suoneremo i nostri manganelli. Di C. Ricci
Pag. 7 Lettera aperta al ministro dello spettacolo del collettivo redazionale
Pag. 8 Contrappunti ai fatti - I negri d’Italia. Di G. Pintor
Pag. 9 Planet waves (notizie). Di C. Ricci e Angelo Camerini
Pag. 10 Lassa sta’ la me creatura - Canzoniere del Lazio. Di F. Giannattasio
Pag. 12 Nazionalismo negro. Di F. Pivano
Pag. 14 Intervista con Chic Corea. Di G. Castaldo
Pag. 16 Nick Drake. Di M. Baiata
Pag. 17 La cattiva coscienza. Di Kappa
Pag. 18 Virgin. Di M. Baiata
Pag. 21 Don Cherry discografia. Di G. Castaldo
Pag. 22 James Marshall - Hendrix. Di D. Moroni
Pag.24 Jimy Hendrix. Di M. Baiata e M. Radice
Pag. 30 Cuba, qe linda es cuba. Di A. Puccini
Pag. 31 Riviste - L’isola beata. Di G. P.
Pag. 32 Tv - Piume al vento. Di S. Saviane
Pag. 34 La canzone di Zeza. Di G. C.
Pag. 35 Albero Motore a Milano / Baden Powel a Roma
Pag. 36 Siam più della metà. D i A. De donato
Pag. 38 Comunicazione visiva come servizio sociale. Di E. Vitale
Pag. 39 Teatro - All’ovest niente di nuovo. Di G. Lombardo-Radice
Pag. 41 Libri
Pag. 42 Cinema
Pag. 44 Dischi
Pag. 51 La chitarra di John McLaughlin
Pag. 52 Cibo per la mente. Di D.M.
Pag. 53 Maracas, bicchieri, bonghi. Di G. Borelli
Pag. 54 Gesto umano. Di N. Ruspoli
Pag. 56 Super 8 e cinema monodimensionale. Di E. Facconi
Pag. 58 Hi Fi. Di D. Caimi
Pag. 60 Strumenti - Posta
La pubblicazione della rivista cesserà con il numero 13 del giugno 1976


Circa dieci giorni fa sono andato da un mio amico a Modena che mi ha regalato un bel pacco di giornali musicali dal 1970 al 1982 circa. Tra questi c'era la collezione completa (almeno credo sia completa) di una rivista che si chiamava MUZAK, stampata a Roma e di cui avevo solamente sentito parlare perchè una persona di mia conoscenza ebbe a che fare con la sua redazione, tanti anni fa. Non nella maniera che potreste pensare voi, però. Non avevo ben chiaro l'attinenza tra questi e Muzak però ovviamente già m'ero fatto una mia idea.
Non era tipo, cioè, da dar fuoco alla redazione - che so - di Grand Hotel o Topolino.
Mi metto a leggere e vi giuro che mi sono spaccato in due dalle risate.
Una comica continua. Ora mi spiego del perchè un giornale simile sia fallito in brevissimo tempo (a parte i danni alla redazione)!

Prologo: MUZAK nasce nel 1975. In quell'anno di riviste musicali in Italia ce ne sono molto poche. Passati i tempi d'oro di BIG, CIAO AMICI, GIOVANI, CIAO BIG, TUTTAMUSICA etc.erano rimasti CIAO 2001 (che praticamente monopolizzava il mercato), NUOVO SOUND (bellissimo giornale che sebbene parlasse di pop e rock non si vergognava affatto di scrivere lunghi articoli su Sandro Giacobbe o Marcella Bella, ad esempio) e un altro chiamato GONG (che non ho mai letto).
GIOVANI era diventato QUI GIOVANI e si era buttato su una china troppo politicizzata. Persi tutti i lettorin nel giro di un anno e mezzo fallisce. Rimangono CIAO 2001 e NUOVO SOUND. Per l'appunto nasce MUZAK.
E' difficile da descrivere. Tutto quello che potrei dire sembrarebbe un'esagerazione.
Ed è per questo che ho fatto un rar selezionando qualche pagina in modo che anche voi possiate guidicare. Allora: la preoccupazione maggiore per questa gente è la droga. Ma non perchè fa male etc. ma perchè se ne trova poca e quella che si trova costa! Ci sono circa 20 pagine dedicate alla bamba, su dove trovarla, sulle leggi di uno stato fascista che impedisce a noi giovani freak ed extraparlamentari di assumerne quanta ne vogliamo, indicando anche dove reperirla. Incredibile ma accanto alle rubriche tipo Musica, Cinema, Libri, Editoria ce n'è una chiamata Droga! E dice cose tipo: una segnalazione dell'Agenzia Alternativa di Vinghiana (Lucca). nella zona l'eroina è scesa dalle 80.000 mila lire dello scorso anno alle 50.000 al grammo. Si trova dappertutto. Un grammo di marijuana scadente costa 4500 lire ed è spacciata da un tal.......spia della polizia, già responsabile dell'arresto di compagni.
Le altre rubriche (quando non si riesce ad infilarci la droga ad ogni costo) trattano "anche" di musica (ma non doveva essere un giornale musicale?) vista esclusivamente attraverso la lente della politica.
Esempio: E' ORA..E' ORA... IL CANTO A CHI LAVORA! Sconfitti dal confronto con il mondo del professionismo musicale, i cantautori operai (sic!) dimostrano che la loro musica, anche se smomiglia alla moda revival dei cantacronache, non è merce e non è riconducibile a merce.
C'è anche l'articolo immancabile di un nostro caro amico: Walter Veltroni.
Che strano: non è mai stato comunista ma risultava essere il segretario della FGC romana. Dove FGC non sta per Federazione Gioco Calcio, anche se a lui farebbe comodo fosse così! Il suo mondo di Nutella e di figurine Panini lo richiede.
Interessante notare che già nel 1976 aveva un abile ghostwriter che gli scriveva delle cose che probabilmente neanche capiva. Se non vi viene un colpo di sonno, potete leggerlo da voi. E' nel rar.
Poi si passa alle offese: naturalmente la parte del leone la fa la DC.
I "fascisti" sono trattati comunque sempre con un pò più di rispetto...sarà perchè alla pari dei "compagni" scendono in piazza con armi e spranghe mentre i giovani democristiani sono carne da macello per entrambi la parti e quindi a che pro rispettarli? Mi ricordo molto bene un ragazzo a me molto vicino che quando ero piccolo urlava slogan tipo PIOMBO AI COMUNISTI DIOSSINA ALLA DC
"quelli menano, non si sa mai" devono aver pensato.
E difatti, MUZAK ne sa qualcosa.
C'è la pagina per le femministe e quella in cui ti chiedono di abbonarti perchè vi regaliamo i libri che fanno per voi. Se sei un tipo freak il manuale che ti insegna a coltivare la marijuana sul balcone di casa e a costruire molotov per tutti gli usi (?). Se sei un tipo femminista DALLA PARTE DELLE BAMBINE, saggio fondamentale per tutte quelle che non vogliono credere di essere dolci, timide,fragili, insicure, oppresse, sfruttate
(cioè le brutte e le lesbiche). Se sei un tipo politico C'ERA UNA VOLTA LA DC,un libro tutto da vedere. La raccolta completa dei manifesti DC.
Le immagini parlano da sole. L'anticomunismo volgare (volgare?) e grottesco etc.
Mi sono messo a sfogliare questi numeri con un mio amico, di dieci anni più grande di me, che al liceo faceva parte di questo habitat subumano ma del quale si vergogna come un ladro e vorrebbe che nessuno glielo ricordasse mai e poi mai (ma io sono un bastardo!) dispiaciuto anche di condividerne i ricordi più minimi.
Ha fatto un salto (non gradito) nel passato confermando tutto, il linguaggio, il modo di passare tutto attraverso la politica e cose di questo genere.
Ci chiediamo chi possa aver scritto una sequenza di simili stronzate e
passiamo ai nomi dei collaborati e del direttore. E finalmente capiamo tutto.
Giaime Pintor, Lidia Ravera, Gino Castaldo, Paolo Pietrangeli, Lydia Tarantini, Collettivo di Via Anfossi, Fernanda Pivano, Goffredo Fofi, Mario Scrivano.
La creme della creme degli sfigati di successo.
Anche se il loro successo (se così lo vogliamo chiamare) è ristretto nel campo dei pennivendoli con la tessera di partito.
Come diceva Albertone su COSTA AZZURRA "che brutta gente, Ada mia"
Questo MUZAK , comunque, verrà comodo per la prossima volta che si dovrà riverniciare una stanza. A meno che non lo vogliate voi.

Pubblicato da Verdier il Vampiro a 18:30

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